1,2,3…13,14,15
anni, cento passi dall’origine, dove maturavi competenza al
servizio d’altri, per imbarcarti, poi, per costrizione da altrui
malafede, in un’avventura titanica, considerati gli spazi offerti e
le vite indefinite d’un luogo, paradiso solo in potenza, in atto,
altro da sé, dalle sue radici, dalla sua storia millenaria, ad ogni
passo tradita, vilipesa, offesa.
Posizione
strategica lungo l’asse principale di un andare, che dal declivio
di colline, per confine di torrente, che sa nutrirsi di impetuosa
distruzione per artificio indotta, si snoda lineare, solo nel
tragitto, fino a quel Seme,
simbolo di rinascita mai rinata, che svetta ad invocare, disarmante
eco di riflusso, radici lontane, ormai appassite, fradice e, pur
sempre, rinnovate di speranza e…in
medias res, la
“Libreria
Gutenberg”,
nella sua discostata centralità, visibile solo a chi la vuol vedere,
accostandosi, per multiformi interessi o solo per curiosità da
riparo, ritrosa a sguardi superficiali da passeggio o da affari
malati.
Sta
lì, sospesa tra luoghi maledetti, scrigno di profitti recidivi, e la
sosta, riffa quotidiana, di un terno per la deposizione momentanea di
mezzi da trasporto, vettori di non si sa mai cosa, col suo occhio di
vetro spalancato su un passaggio-passeggio ritmato nei suoi tempi
monotoni, riprodotti in serie, all’infinito, dalle stesse facce,
dalle stesse discussioni, dalle stesse ombre, sempre più ombre di se
stesse, nel reiterato sfiancarsi di un non-senso in alterna
sospensione.
Eccola
qui, lungo l’asse mediano di un Liberty
in decadenza, metafora, per nulla velata, di una decadenza di Libertà
reietta, in una parvenza di normalità da provincia eterna, a
donarsi, stanza dello scirocco d’esistenza, refrigerio all’abisso
annebbiante, che ci coglie nell’essere “sciroccati” perenni,
per vite che non si vorrebbero marginali, pur sempre avvolte,
avvinghiate, stravolte, strascicate dal morbo infetto di una calura
malsanamente appiccicaticcia, ad offrirti, in un caos emotivo e di
pensiero, un riparo, un caloroso abbraccio in faccia al mondo che va,
di corsa, incontro al suo destino.
Un
velo vitreo a separare un marciapiede marciante di gomme da un altro
mondo, segnato all’entrata da un metallico suono di spiritualità
d’Oriente, ad annunciarti momentanea rinascita, mentre, con animo
predisposto, fra una spirale di avvolgenti parole colorate, ci si
sente richiamati all’ascolto, reclamando presenza, visione, vita di
lettere e sillabe a chiederti comprensione, ad implorare contatto di
pelle e visivo, al limite finanche olfattivo, versus inodori
caratteri omologhi da macchina, per essere strappate dal gorgo del
non-senso in vitalità di senso rinnovato; un velo vitreo a
proteggere ogni avventore, che, in ritrovato spazio di libertà, può
assaporare l’ormai sempre più negato brivido dello scegliere, la
vertigine del decidere in soggettiva, guidato da un sentire in
proprio, pensante, negando ad alcuni testi visibilità, ad altri
accordando partecipata attenzione o, tutt’al più, superficiale, ma
apprezzato sfrigolio di pagine in successione visiva-olfattiva o
parziale accordanza di sfuggente comprensione.
E
dentro, di sorniona presenza, navigato ulivo saraceno, ad
accoglierti, in stati d’animo alterni, per vita andante anche oltre
il velo vitreo di separazione, richiamato da un pressante chiedere in
scadenza, che va ben oltre lo spazio di salvaguardia includente, ove
ha piantato radici, che imposizioni di profitto imborghesito
vorrebbero spianare, spiantare, ma “resiste”, annaffiato,
irrorato per sprazzi di vitalità, da eventi di tempo destinati alla
protezione, blandito da sguardi lievi ed accudenti, donati, in
parsimonia, a chi diventa eccezione, riserva, amorevole
partecipazione di destini, sospensione accordante-discordante di
scambievole posizioni per punti di vista in movimento alterno,
laddove, al fruscio di fronde animate da un venticello di pensiero in
libertà, se lo si ascolta, si possono percepire folgoranti sprazzi
malinconici di sapienza di tempi andati, di gioventù vissuta dentro
la speranza di un mondo altro, ove la cultura si innestava,
nutriente, di vitalità pratica ed intellettiva, non sempre concreta,
ma possibile, come speranza, oggi disperata, ad accoglierti, tra
sapienza di fiori e cibi, di piante e letteratura, di schegge
illuminanti di malinconica dolcezza e di annoiata sapienza.
In
tempi di Modernità squilibrata, nel gorgo infetto di un sommovimento
virtuale costante, ad ingabbiare menti e corpi diversamente
innaturali, in tempi vacui di pensiero ed omologhi di guittezza, la
“Libreria Gutenberg”
si dona ancora, oasi di libertà, radura sottratta all’inquinamento
del reiterato, con un tempo sospeso, ove ciascuno, nello spazio di
istanti rinnovati di piacere, può essere felice a modo suo.