Verso un nuovo ordinamento planetario. “Riflessi di modernità. Nichilismo e globalizzazione” (Albatros Il Filo, Roma) Il saggio di Domenico Mostaccio Spaesatezza, perdita di senso e omologazione sono i tratti che caratterizzano l’esistenza dell’uomo contemporaneo. La globalizzazione si sta sempre più configurando come una forma mascherata di neocolonizzazione che acuisce, piuttosto che appianarlo, il divario tra regioni ricche e regioni povere del mondo. Se la letteratura e le arti hanno rappresentato e, in taluni casi, anticipato la crisi del modello di sviluppo capitalistico, il pensiero filosofico ha provato a darne un’interpretazione, senza riuscire tuttavia a proporre un’analisi pienamente convincente né tantomeno una via d’uscita. Occorre allora ripensare la globalizzazione, partendo da quei pensatori che hanno fornito contributi fondamentali. È quanto prova a fare il barcellonese Domenico Mostaccio, 35 anni, già dottore di ricerca in Metodologie della filosofia all’Università degli Studi di Messina, nel suo libro “Riflessi di modernità. Nichilismo e globalizzazione”, edito da Albatros Il Filo (Roma). «La globalizzazione non può essere sganciata dalla modernità – sostiene Mostaccio – La maggior parte degli interpreti la considera un fenomeno post-moderno, essa è invece piuttosto un fenomeno ipermoderno, cioè il portato estremo della modernità». Una tesi che l’autore tenta di dimostrare partendo dall’analisi del nichilismo proposta da grandi filosofi come Nietzsche, Schmitt, Junger e Heiddeger. «Nichilismo, modernità e globalizzazione vanno di pari passo. I due pilastri su cui si fonda la modernità sono la tecnica e l’economia, con le loro tendenze universalistiche. Il pensiero calcolante domina le scelte di politica planetaria e porta a coniugare la globalizzazione in un neoimperialismo che sradica, omologa e azzera le alterità. La reazione a questa reductio ad unum sono gli identitarismi e la xenofobia. Ma il capitalismo sta ormai esaurendo gli spazi da conquistare, la globalizzazione è destinata al collasso». Quale, allora, lo sbocco? Mostaccio riprende la metafora logico-concettuale dell’arcipelago proposta da Massimo Cacciari. «Bisogna pensare a un ordinamento planetario fondato su una unità globale ma privo di un centro, in cui ciascuna isola, pur mantenendo il contatto e lo scambio con le altre, conserva le proprie differenze. Un ordinamento in cui i confini non sono barriere ma spazi condivisi, l’ostilità lascia il posto all’ospitalità, la tolleranza al riconoscimento dell’altro. Cacciari propone questo modello inserendolo però in un contesto globale in cui vi è già un disuguale rapporto di forze. Ma quella dell’arcipelago è una metafora aperta, da riempire di contenuto. Partendo dal presupposto che nessuna nuova organizzazione planetaria potrà veramente dirsi tale se non concepita entro un orizzonte di pensiero che preveda strutture socio-politiche ed economiche totalmente alternative rispetto alle antiumanistiche logiche dominanti». |
Saverio Vasta |
sabato 30 aprile 2011
Articolo di Saverio Vasta pubblicato su "Tempo stretto" (27/04/2011)
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